Disegni di Modigliani
Nelle grandi, lontane epoche, quando l'arte fu al servizio di un potere o d'una idea, del principe o della chiesa, gli artisti uscirono dalla folla e nella folla rientrarono ad opera compiuta; anonimi furono i lapicidi egiziani e i plasticatori etruschi, anonimi furono gli scultori di Angkor e quelli che, nelle fiorite cattedrali francesi, sembrarono miracolosamente ritrovare i segreti della classicità greca, ed è gran caso se nella basilica modenese Viligelmo, con giusto atto d'orgoglio, lasciò inciso il suo nome. Ma in epoche più tarde, l'artista fu una sola cosa con la sua opera e la sua individualità si fece sempre più sensibile; nacque così il mito dell'artista-eroe e, come di tutti gli eroi, la vita si confuse con la leggenda. Il nostro tempo, romantico e neo-romantico, con il suo culto per l'individuo, più d'ogni altro forse ne ha create; Cézanne, Van Gogh, Gauguin sono gli ultimi eroi dell'Ottocento, che dietro a loro hanno lasciato una scia dove i profumi dei campi assolati della Provenza si fondono a quelli acuti del primordiale paradiso terrestre tahitiano.
E oggi, a non lontana distanza di tempo dalla catastrofe che con biblica terribilità ne chiuse la vita terrena e quella della compagna, Amedeo Modigliani ha la sua leggenda, e Salmon, Vlaminck, Carco sono i suoi cantori. L'artista, che poneva a mo' di commento di uno dei suoi più spirituali disegni: «La Vita è un Dono: dei pochi ai molti: di Coloro che sanno e che hanno a Coloro che non sanno e che non hanno», l'uomo che ha sempre dato, ancor oggi continua e continuerà a donare, perché Modigliani, a dispetto dei santi di casa nostra, era un grande artista. Certo i suoi casi furono romantici e romanzeschi. Giovane, bello, fiero, egli fu preso nel giro dell'ultima bohème parigina e ne conobbe tutte le miserie, soffrì la fame e si ubriacò per bisogno di dimenticare, amò e fu amato per prestanza fisica e per brio d'intelligenza, ebbe amici fidati ad onta delle sue sregolatezze e delle sue ire, dei suoi scandali, dei suoi vizi, che non servirono ad intaccarne l'aristocratica intima natura, e finalmente, quando gli si apriva dinanzi un'esistenza meno tempestosa, il corpo logorato dalla tisi più non gli resse. Ma qui si vuol parlare dell'arte, e non dei casi della vita di Amedeo Modigliani; della sua arte, così poco accetta agli adoratori del sassino e della fogliuzza, a chi giura su un « bello » che in Francia si chiamerebbe del Couture e del Bouguereau ed in Italia si potrebbe chiamare del Bezzuoli e del Ciseri, a chi crede in un'arte «morale» e formalmente mistica, a chi vuole l'ordinato ritorno al soggetto, a chi, creandosi a tutto suo profitto un'arbitraria discendenza, si dice figlio degli antichi e custode della tradizione, a chi infine va predicando una reazione pseudo-risanatrice. Ma l'arte, dall'Ottocento a oggi, cosa è stata se non un seguito di rivoluzioni e di vittorie dei pochi sui molti? A proposito della pittura di Modigliani, è ormai luogo comune affermare, e i critici francesi lo vanno ripetendo con un'insistenza più che logica, che a Parigi (dove in vita l'artista fu nutrito con una sola parola FAME e dove in morte gli fu data una gloria cui fece da compagna e da tutrice la speculazione), che a Parigi dunque essa abbia trovato il clima e l'ambiente più adatti alla sua fioritura. Nessuno certo può metter in dubbio che a Montparnasse il «borghese» si sia trasformato in un singolarissimo artista, incamminandosi per una strada che nell'Italia d'allora, quella dei Sartorio e dei Tito, non avrebbe forse imboccata; ma quanto, in sostanza, Modigliani deve all'arte del paese in cui è fiorito ed è morto? lo non saprei rispondere che negativamente. Egli rivisse, è vero, l'esperienza di Cézanne e la intese a fondo, come dimostra il dipinto giovanile del «Violoncellista», in cui non si stentano a riconoscere quei caratteri che segneranno poi in modo tipico affatto la formula espressiva modiglianesca : da un lato, lo squisito e musicale senso della linea, dall'altro la presenza di un mondo melanconicamente, talvolta morbosamente, sentimentale, la presenza d'un accento lirico, che conta pur nelle più sensuali figurazioni. Ma la lezione di Cézanne, che dopo tutto è una lezione italiana più che tradizionalmente francese, fu assorbita in pieno, non lasciò cioè nessun residuo di manierismo imitativo. E di tutti i movimenti, il cubista compreso, che si susseguirono con un ritmo vivacissimo in questo inizio di secolo, il solo che abbia veramente lasciato una traccia nella sua opera, del resto superata anch'essa, fu quello che trasse origine dalla «scoperta» dell'arte negra. E' lecito supporre che ciò avvenne soltanto perché nelle opere, che per la prima volta allora capitavano sul mercato parigino e che Picasso con la sua inquieta, implacata e implacabile curiosità estetica aveva messo di moda, Modigliani ritrovò un'identità di intenti deformativi ed espressivi. Ma questo livornese, nel quale si assommano e s'incrociano i tipici caratteri di due grandi razze, l'italiana e l'ebraica, ha portato, come tutti gli artisti nuovi, un sangue che nessuno gli aveva trasfuso. La novità di Modigliani, ancor più sensibile in un'epoca appena uscita dal realismo, è tutta di astrazione; nei suoi dipinti la donna più sottilmente sensuale, la femmina più lasciva perdono il peso della carne e si trasfigurano tutte in un'emozione spirituale. E si noti clic la sensualità dell'artista - di questo figlio raffinato d'una gran razza stanca, ma che ha sempre posto la donna su di un altare e le ha cantato i più antichi e i più begl'inni - è sempre presente nelle sue opere, ma il fermento dei sensi si realizza smaterializzandosi. Gli è che la chiave dell'arte di Modigliani, la ragion d'essere delle deformazioni cui assoggetta i suoi modelli - dai volti allungati, inclinati sui colli cilindrici che sostengono le teste quasi a modo di colonna -, il senso di spirituale levità che emana dalle sue opere, godimento che io non so paragonare se non a quello delle armoniose figurazioni d'una danza lenta, hanno un solo nome: arabesco. Per questo - in un certo senso soltanto, perché Modigliani resta pur sempre del tempo nostro (quello che viene in linea diretta da Baudelaire e da Rimbaud) ed in ciò sta la sua virtù - mi sembra egli si apparenti talvolta a un Simone Martini, a un Botticelli, a un Utamaro. Ma sopratutto al senese mi piace avvicinarlo : a Simone Martini, quando abbandona la narrazione, per farsi pittore decorativo (decorativo, nel senso berensostiano). La Madonna della grande «Annunciazione» degli Uffizi, quella del Museo d'Anversa o l'altra della Collezione Stoclet sono risolte così come, a distanza di seicento anni, il livornese risolveva il «Ritratto della moglie» (di proprietà Bing) o il «Ritratto della signora col ventaglio» (della Collezione Netter). Allora come ora, l'arabesco - il più spiritualistico e il più ideale fra i disegni, secondo Baudelaire - dava vita a un'opera d'arte antirealistica e antillustrativa, e quindi trasfigurata e astratta per eccellenza. Ma soltanto sotto quest'aspetto, ripeto, vale il richiamo ai maestri antichi. Arte impregnata di morbosa decadenza? Io ne nego la perversità, anche se critici moraleggianti da un pezzo ormai vanno battendo su questo chiodo. I due motori dell'arte di Modigliani, in apparenza inconciliabili, sono una sensualità viva e fonda e un sentimento disperatamente melanconico, non privo d'umana pietà. Nelle opere essi si alternano e si mescolano; egli ha potuto così rendere la timida, innocente grazia dei fanciulli del popolo, precocemente maturi, e far materia visibile lo spirito di un intellettuale, ha potuto comporre nudi dove la carne freme per il godimento erotico e la perfezione femminile si agita per moti sensuali, e creare nel tempo stesso immagine purissime di donne, quasi traducendone l'anima fragile. Certo ogni forma d'arte raffinata - come è quella di Modigliani - è di necessità un'arte portata agli estremi limiti, è un punto d'arrivo, non un punto di partenza; ancora un passo e si è alla soglia del manierismo e dello stilismo. Modigliani è un caso nella storia dell'arte, non un esempio; quel che c'era da dire, egli l'ha già detto compiutamente.
Il disegno d'un pittore è come il diario intimo d'un letterato; in esso l'artista si rivela schietto, nei suoi caratteri essenziali, senza infingimenti e senza trucchi, che del resto l'aristocratico contrasto del bianco e del nero mal tollererebbe. Così, in questi fogli, gli aspetti dell'arte di Modigliani appariranno più chiari ed evidenti, l'immortale e il caduco, quello che nasce dal fondo e quello che rimane mera preziosità formale. Di rado vi si ritrovano preoccupazioni chiaroscurali; molto spesso un segno uguale e sottile si snoda filato leggero, con singolare purezza, chiudendo le forme in un ben ritmato giuoco d'arabeschi di una squisita eleganza. Le curve s'intrecciano e si combinano via via con un senso quasi musicale, fra pause e riprese, incroci e sospensioni; suggerendo più che descrivendo, sintetizzando e non analizzando. Queste eccezionali tipiche qualità spiccano soprattutto nei disegni degli ultimi anni, dei quali sono qui riprodotti i due ritratti della moglie e i tre studi di nudo, dal segno incisivo, sicuro, nitidissimo. Altri di questi fogli portano le immagini dei compagni di Modigliani, che egli - come Vlaminck ricorda - andava tracciando nervosamente nelle sue soste per i caffè di Montparnasse : «Je revois Modigliani assis devant une table, à la Rotonde, avec son pur profil de Romain, son regard autoritaire, ses mains fines, des mains racées aux doigts nerveux, ses mains intelligentes traant d'un seul trait sans hésitation un dessin qu'il distribuait - il n'était pas dupe - comme une récompense aux camarades qui l'entouraient». I disegni rimasti, salvati dalla distruzione che talvolta nei momenti d'ira Modigliani operava con le sue stesse mani, ci hanno tramandato il vivo ricordo del Parnaso di quella che fu l'ultima bohéme parigina: ecco Othon Friesz e Paresce, Lipschitz e Fabiano de Castro, Cendrars e Fuss-Amoré, De Lada e Mario. Ma più spesso ritorna il volto aristocratico, incorniciato da una chioma prolissa e da una romantica barbetta a punta, dello Zborowski, cui resta titolo di merito aver creduto quasi religiosamente in Modigliani quando tutti ne ridevano ed averlo aiutato negli ultimi anni a fargli la vita meno dura.
Oggi la critica fa gran dispendio di lodi e regala a ogni canto di strada, genio e bellezza come se fossero monete da quattro soldi: io ho quasi paura delle parole, ma o son cieco o l'Italia dovrà pur decidersi a riconoscere in Modigliani un disegnatore da porre accanto ai suoi classici antichi. Lamberto Vitali