La ricostruzione della vita di Modigliani nei due soggiorni livornesi dopo la parentesi parigina, è risultata assai dubbia e controversa - come vedremo - fino al 1993.
Quando Jeanne Modigliani si recò a Livorno per intervistare gli amici in vita del padre nella speranza di recuperare informazioni utili da inserire nel suo libro "Modigliani senza leggenda", pubblicazione che aveva appunto come scopo principale quello di liberare la vita del padre dal mito e dalla leggenda, non ne ricavò altro che informazioni completamente contraddittorie.
Oltre alle testimonianze inattendibili degli "amici" di Modigliani, Jeanne non trovò dalla famiglia nessuna lettera, nessun documento e nessuna opera collocabile nell'ultimo soggiorno del padre a Livorno, tanto da dover citare nel suo libro, senza alcuna convinzione, la data più probabile del 1912, come suggeritole da Ida (moglie di Umberto) e Vera Modigliani (moglie di Emanuele).
Gli "amici" del caffè Bardi pretendevano che l'episodio delle teste gettate nei fossi fosse avvenuto in piena guerra (tra il 1915-16) e comunque non nel primo soggiorno del 1909, nonostante il fatto che il fotografo Bruno Miniati (1889-1974) avesse escluso di aver visto Modigliani a Livorno dopo il 1909.
L'unico documento che Jeanne riuscì a recuperare dalla famiglia è una lettera datata 3 Luglio 1909 scritta da sua nonna Eugenia a Vera Modigliani per sincerarla sulla salute del figlio e per dirle che era tornato a Livorno, e come unica opera collocabile in questo soggiorno il dipinto conosciuto come "Il mendicante di Livorno datato 1 agosto 1909 .
Il documento che avrebbe potuto far luce sulla vita dell'artista nei suoi due ritorni a Livorno, sarebbe stato il diario famiglia, che non si interrompe nel 1910 come viene riportato su vari testi, ma continua anche dopo la morte di Modigliani. Questo diario è stato scritto dalla madre dell'artista Eugenia Garsin, da sua sorella Laura, dalla figlia Margherita e in due punti dal giovane Amedeo, ma è muto durante i due soggiorni livornesi dopo Parigi.
Nel 1993 a Palazzo Grassi di Venezia venne allestita una mostra dove furono esposti per la prima volta oltre 400 disegni provenienti dalla collezione del dr. Paul Alexandre e, insieme a questi, vennero alla luce delle lettere e cartoline che fecero chiarezza sui soggiorni di Modigliani nella sua città Natale.
Riguardo al 1909, grazie a questa mostra veneziana e al relativo libro-catalogo Modigliani Inconnu, veniamo a conoscenza di una lettera scritta da Modigliani il 5 settembre 1909 all'amico Paul Alexandre in cui, oltre ad annunciare il suo imminente rientro a Parigi, sorprende una frase in particolare: "ho lavorato un po'", visto che a Parigi porterà con sè soltanto il "Mendicante di Livorno" e un disegno anch'esso esposto per la prima volta nella stessa mostra. In questo catalogo veneziano venne pubblicato un altro documento sconociuto al pubblico prima di allora. Si tratta di una lettera datata 28 maggio 1909 inviata da Jean Alexandre al fratello Paul con la quale lo informava su cosa accadeva a Parigi e nella cerchia del Delta in sua assenza, citando anche il comune Modigliani intenzionato a tornare a Livorno dalla famiglia. Grazie a questi documenti, possiamo collocare con certezza il soggiorno dell'artista a Livorno nel 1909 nei mesi di luglio, agosto e settembre, senza escludere la possibilità che possa essere arrivato già a giugno.
Sempre da Venezia ci arriva la certezza sull'ultimo soggiorno livornese dell'artista avvenuto nel 1913, infatti vennero rese pubbliche altre due lettere; la prima da Livorno, l'altra da Lucca, e nove cartoline, sei delle quali inviate da Livorno, una da Pietrasanta e altre due sempre dalla Versilia. Questi documenti ci permettono di collocare questo ultimo breve soggiorno del 1913 tra il 15 aprile (data della prima cartolina da Livorno) al 13 giugno, infatti in quest'ultima lettera, Modigliani preannunciò all'amico P. Alexandre il suo imminente rientro a Parigi.
Seguendo il carteggio di questi ultimi documenti sappiamo con certezza che Modigliani trascorse pochi giorni a Livorno nel 1913 (dal 15 aprile alla fine del mese) e circa un mese nei dintorni della Versilia (da maggio a giugno). Leggendo la prima lettera scritta da Livorno si capisce anche lo scopo che Modigliani aveva conferito a questo ultimo viaggio in Italia, scrive appunto all'amico Paul Alexandre «farei tutto nel marmo». E qualcosa scolpì sicuramente, difatti nella lettera scritta su carta intestata "Del Chiaro Giulio" di Viareggio, accenna a due pezzetti di marmo che dovevano arrivare a Parigi ma che, purtroppo, non arrivarono mai.
Di conseguenza in circa 15 giorni trascorsi a Livorno nel 1913, Modigliani non avrebbe avuto il tempo materiale per realizzare più sculture (Razzaguta parla di teste al plurale), opere che, demotivato dai giudizi degli "artisti" (!) suoi concittadini, avrebbe gettato nei fossi livornesi per poi andare comunque nei pressi della Versilia per scolpire il marmo!
Fino al 1993 non eravamo a conoscenza di questi documenti per cui non potevamo neanche sapere con precisione l'anno in cui Modigliani tornò a Livorno per l'ultima volta, ma era comunque ben noto già al tempo che l'artista non scolpirà per motivi di salute oltre il '13, e che tra il 1912-13 aveva realizzato uno dei suoi ultimi capolavori, la testa esposta al Tate di Londra. Questo per dire che se gli autori della "pesca miracolosa" del 1984 si fossero messi alla ricerca di quelle teste che Modigliani avrebbe gettato nei Fossi nel soggiorno successivo al 1909 (sarebbe risultata una scelta obbligata per quanto riportato in questa pagina), a quel punto le acque dei Fossi di Livorno avrebbero dovuto restituire dei capolavori assoluti e non degli abbozzi come quelli recuperati durante la famosa "beffa del 1984". Per cui la domanda nasce spontanea: siamo proprio sicuri che di "beffa" si possa davvero parlare e non di tentata truffa? Scopritelo leggendo le pagine successive..
Se da una parte con la mostra di Venezia del 1993 crolla definitivamente la leggenda delle teste gettate nei fossi, riguardo alla storia tramandata da Piero Carboni - come vedremo in seguito - abbiamo dei riscontri storico-artistici davvero convincenti.
Maurizio Bellandi