In 'Ricordi di vita artistica e letteraria, Vallecchi, Firenze 1931' di Soffici Ardengo
Nello sfogliare un recente volume dedicato all'arte di Amedeo Modigliani, buon pittore italiano nato a Livorno e morto anni fa a Parigi, ed alla Francia abbandonato dalla persistente inintelligenza dei nostri caporioni culturali ed artistici, ho scoperto nell'angolo di uno dei disegni a lapis ivi riprodotti, questo aforisma che ho decifrato e che ritengo ancora inedito: «La vita è un dono dei pochi ai molti : di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno». Questo piccolo incontro, mettendomi più vivamente a contatto con lo spirito di quell'artista, mi ha anche richiamato con più nettezza alla mente la sua immagine corporale, quale mi apparve in due momenti significativi e liminari della sua vita troppo breve. Nel 1903, trovandomi per la prima volta a Venezia con un amico pittore, mi fu da questi presentato il collega Modigliani, il quale risiedeva allora in quella città. Era a quel tempo un giovanetto di belle fattezze e di volto gentile, né alto né basso, snello e vestito con parca eleganza. I suoi modi erano graziosi al pari della persona, tranquilli; e quello che diceva, ispirato a grande intelligenza e serenità. Passammo insieme molto piacevolmente più ore dei giorni ch'io mi trattenni a Venezia, girellando per la stupenda città di cui egli mi faceva gli onori, o in una trattoria popolare dove egli ci conduceva, e dove, mentre mangiavamo certi pesci fritti, dei quali sento ancora il forte odore, il nuovo amico c'intrattenne di certe sue ricerche di tecnica pittorica dietro la traccia dei maestri nostri primitivi; e anche dei suoi studi appassionati sull'arte dei trecentisti senesi, e specie del veneziano Carpaccio, che in quel momento sembrava prediligere. Notai in quelle occasioni ch'egli mangiava assai parcamente, all'italiana, e che così beveva vino annacquato, se non pure acqua addirittura. Il mio ritorno in Francia di lì a qualche tempo, e poi le varie circostanze della vita, impedirono che la nostra relazione avesse un carattere di continuità.
Sebbene egli pure fosse più tardi venuto a Parigi, non ci incontrammo che di rado, e per un assai lungo periodo ci perdemmo alla fine di vista. Or ecco che una sera d'estate in cui io me ne stavo con alcuni amici seduto fuori del caffè della Rotonde nel boulevard Montparnasse, vedo uno che, uscito di tra la folla dei clienti, si precipita al mio tavolino, e con ardente trasporto mi afferra le mani e mi chiama per nome. Riconobbi allora Modigliani: ma, ahimè, quanto mutato da quel che era! Vestito con estremo disordine, la camicia sbottonata e il collo nudo, in zucca, i capelli arruffati e gli occhi stravolti e febbrili, pareva un ossesso. La sua faccia, già così bella e chiara, s'era fatta dura, travagliata, violenta; la sua bocca amorosa si torceva in un ghigno amaro, e le parole che ne uscivano erano sconclusionate e piene di tristezza. Poich'egli mi parlava dappresso con affettuosa veemenza, mi arrivava sul viso un afrore di cognac misto all'odore stupefacente dell'etere. Infatti era ubriaco; come quasi ogni giorno in quel tempo, secondo mi fu detto quando dopo quelle dolorose espansioni ci fummo separati, senza aver potuto intrattenerci su nulla di essenziale, come la nostra vita, le nostre idee, la nostra arte. Ciò avveniva nel giugno del 1914, e fu il nostro ultimo incontro. Due mesi dopo scoppiava la guerra, e finita la guerra, Modigliani moriva.