Le lettere inviate da Modigliani a Ghiglia tra il 1901 e il 1903
Le bellissime lettere inviate da Amedeo Modigliani a Oscar Ghiglia pubblicate nel 1930 da D'Ancona su "L'Arte" (pp. 257-264)
Carissimo Ghiglia, ... e questa volta rispondi, a meno che il peso degli allori non ti aggravi la penna. Leggo adesso nella Tribuna l'annunzio della tua accettazione a Venezia: Oscar Ghiglia, Autoritratto. M'immagino quell'autoritratto di cui mi parlasti e a cui già pensavi da che eri a Livorno. Mi rallegro molto e molto sinceramente. Crederai che questa notizia mi ha scosso! lo son qua a Capri (un luogo delizioso, tra parentesi) a far la cura... E son quattro mesi adesso che non ho concluso niente, che accumulo materiali. Prestò andrò a Roma, poi a Venezia per l'Esposizione... faccio l'inglese. Ma verrà anche il momento di sistemarmi a Firenze probabilmente e di lavorare... ma nel buon senso della parola, vale a dire dedicarmi con fede (testa e corpo) a organizzare e a sviluppare tutte le impressioni, tutti i germi d'idee che ho raccolto in questa pace, come in un giardino mistico. Ma parliamo di te: ci siamo lasciati nel punto più critico del nostro sviluppo intellettuale e artistico e abbiamo camminato per due vie diverse. Vorrei ritrovarti adesso e parlarti. Non pigliare questa lettera come una congratulazione volgare, ma come testimonianza dell'interesse sincero che piglia per te l'amico.
Modigliani
Carissimo Oscar, ancora a Capri. Avrei voluto aspettare a scriverti da Roma: partirò fra due o tre giorni, ma il desiderio di trattenermi un poco con te mi fa pigliare la penna. Credo al tuo cambiamento sotto l'influenza di Firenze. Crederai tu al mio viaggiando in questi posti? Capri, il cui solo nome bastava a risvegliare nella mia mente un tumulto d'immagini di bellezza e di voluttà antica, mi appare adesso come un paese essenzialmente... primaverile. Nella bellezza classica del paesaggio è un sentimento [per me] onnipresente e indefinibile di sensualità. E pur sempre (anche malgrado gli inglesi che invadono coi Baedeker) un fiore smagliante e venefico che sorga sul mare. Basta la poesia. Immaginati del resto (son cose che non succedono che a Capri) che ieri sono andato a passeggiare in campagna con la luna con una signorina norvegese sola... assai erotica in verità ma anche assai carina. Non so ancora precisamente quando sarò a Venezia; del resto te lo farò sapere. Desidererei vederla insieme a te. Micheli? Oh Dio, quanti ce ne sono a Capri... reggimenti! Vinizio come va? Aveva cominciato bene con quel quadretto. Cammina o resta lì? Rispondimi. E' per questo in fondo che ti scrivo, per sapere di te e degli altri. Salutami Vinzio. Ciao
Dedo
Caro amico, io scrivo per sfogarmi con te e per affermarmi dinanzi a me stesso. lo stesso sono in preda allo spuntare e al dissolversi di energie fortissime. lo vorrei invece che la mia vita fosse come un fiume ricco di abbondanza che scorresse con gioia sulla terra. Tu sei ormai quello a cui posso dire tutto: ebbene io sono ricco e fecondo di germi ormai e ho bisogno dell'opera. lo ho l'orgasmo, ma l'orgasmo che precede la gioia, a cui succederà l'attività vertiginosa ininterrotta dell'intelligenza. Già dopo averti scritto questo io penso che è bene che ci sia l'orgasmo. E da questo orgasmo io mi risolleverò gettando di nuovo nella grande lotta, nell'azzardo, nella guerra un'energia e una lucidità non prima conosciuta. lo vorrei dirti quali sono le nuove lance con cui riproverò la gioia della guerra. Un borghese oggi mi ha detto, mi ha insultato che io, ossia il mio cervello oziava. Mi ha fatto molto bene. Ci vorrebbe un avvertimento simile tutte le mattine al proprio risveglio: ma essi non ci possono capire e non possono capire la vita. Di Roma non ti parlo. Roma che mentre ti parlo è non fuori ma dentro di me, come un gioiello terribile incastonato sopra i suoi sette colli, come sopra sette idee imperiose. Roma è l'orchestrazione di cui mi cingo, la circoscrizione in cui mi isolo e pongo il mio pensiero. Le sue dolcezze febbrili, la sua campagna tragica, le sue forme di bellezza e di armonia, tutte queste cose che sono mie, per il mio pensiero e per la mia opera. Ma io non posso dirti tutta l'impressione che io trovo in lei, né tutte le verità che ho saputo cogliere da lei. lo attenderò a una nuova opera e dacché io l'ho precisata e formulata mille altre aspirazioni vengono fuori dalla vita quotidiana. Vedi la necessità del metodo e dell'applicazione. Cerco inoltre di formulare con la maggior lucidità le verità sull'arte e sulla vita che ho raccolto sparse nelle bellezze di Roma, e come me ne è balenato anche il collegamento intimo, cercherò di rivelarlo e di ricomporne la costruzione e quasi direi l'architettura metafisica per crearne la mia verità sulla vita, sulla bellezza e sull'arte. Addio. Parlami di te come io ti parlo di me. Non è questo lo scopo dell'amicizia: di comporre e di esaltare la volontà secondo il suo indirizzo, di rivelarsi l'uno con l'altro e dinanzi a se stessi? tuo Dedo
Carissimo Oscar, mi avevi promesso il giornale della tua vita vissuta da che ci siamo lasciati fino a adesso. L'aspetto impazientemente. In quanto a me manco alla promessa, cioè non posso mantenerla perché non posso scrivere un giornale. Non solo perché nessun avvenimento esteriore si è infiltrato per ora nella mia vita, ma perché credo che anche quelli interni dell'anima non possano essere tradotti mentre siamo sotto il loro dominio. Perché scrivere mentre si sente? Sono tutte evoluzioni necessarie attraverso le quali dobbiamo passare e che non hanno importanza altro che per il fine a cui conducono. Credimi, non è che l'opera arrivata ormai al suo completo stadio di gestazione, impersonata e tratta dalla pastoia di tutti i particolari incidenti che hanno contribuito a fecondarla e a produrla che val la pena di essere espressa e tradotta con lo stile. L'efficacia e la necessità dello stile si presenta appunto in questo che oltre ad essere l'unico vocabolario atto a estrinsecare un'idea, la distacca dall'individuo che l'ha prodotta, lascia la via aperta a ciò che non si può né si deve dire. Ogni grande opera d'arte varrebbe considerata come qualunque altra opera della natura. Prima di tutto nella sua realtà estetica e poi al di fuori del suo sviluppo e del mistero della sua creazione, di ciò che ha agitato e commosso il suo creatore. Questo, puro dogmatismo, del resto. Perché non mi scrivi piuttosto? E che cosa sono i tuoi quadri? Ho letto la descrizione di uno in un articolo del Corriere. Non posso ancora chiedere il quadro; sono costretto ad albergare in un Hotel di qui; capisci l'impossibilità di dedicarmi ancora al quadro; del resto mentalmente e nella contemplazione della natura ci lavoro molto. Credo che finirò col cambiar residenza: la barbarie dei turisti e dei villeggianti mi rendono impossibile il raccoglimento nei momenti in cui nei avrei più bisogno. Finirò col salire nel Tirolo austriaco. Non ne parlare ancora in casa. Scrivi sempre Hotel Misurina - Misurina. Addio. Scrivimi, mandami quel che mi hai promesso. L'abitudine della contemplazione della campagna e della natura alpina segnerà, credo, uno dei più forti cambiamenti nel mio spirito. Vorrei parlarti della differenza che corre tra le opere di quegli artisti che hanno più comunicato e vissuto colla natura e quelli di oggigiorno che cercano ispirazione negli studi e vogliono educarsi nelle città d'arte. A Livorno si divertono?
Carissimo Oscar, ho ricevuto la tua e rimpiango straordinariamente di aver perso la prima che dici di avermi mandato. Capisco, e purtroppo più dal tono stesso della lettera che dalla confessione che mi fai, il tuo dolore e la tua sfiducia. Ne capisco all'incirca la ragione e, credi, ne ho provato e ne provo un sincero dolore. Non ne conosco ancora le cause precise e occasionali che lo provocano, ma capisco, per te che sei un'anima nobile, che devon produrre una triste diminuzione di te stesso, al diritto che tu hai alla gioia e alla vita per ridurti a quello stato di sfiducia. lo non so di cosa si tratti, ti ripeto, ma credo che il miglior rimedio per te sarebbe di mandarti di qui, dal mio cuore che è gagliardo in questo momento, un soffio di vita, poiché tu sei creato, credimi, per la vita intensa e per la gioia. Noi (scusa il noi) abbiamo dei diritti diversi dagli altri, perché abbiamo dei bisogni diversi che ci mettono al disopra - bisogna dirlo e crederlo - della loro morale. Il tuo dovere è di non consumarti mai nel sacrificio. Il tuo dovere reale è di salvare il tuo sogno. La Bellezza ha anche dei doveri dolorosi: creano però i più belli sforzi dell'anima. Ogni ostacolo sormontato segna un accrescimento della nostra volontà, produce il rinnovamento necessario e progressivo della nostra aspirazione. Abbi il culto sacro (io lo dico per te... e per me) per tutto ciò che può esaltare ed eccitare la tua intelligenza. Cerca di provocarli, di perpetrarli, questi stimoli fecondi, perché soli possono spingere l'intelligenza al suo massimo potere creatore. Per quei lì noi dobbiamo combattere. Possiamo noi racchiuderli nella cerchia della loro morale angusta? Affermati e sormontati sempre. L'uomo che dalla sua energia non sa continuamente sprigionare nuovi desideri e quasi nuovi individui destinati per affermarsi sempre a abbattere tutto quel che è di vecchio e di putrido restato, non è un uomo, è un borghese, uno speziale, quel che vuoi. Tu soffri, hai ragione, ma il tuo dolore non può forse divenire per te uno sprone perché tu riesca a rinnovarti ancora e a portare il tuo sogno più in alto ancora, più forte nel desiderio? Avresti potuto in questo mese venire a Venezia; però decidi, non ti esaurire, abituati a mettere i tuoi bisogni estetici al disopra dei doveri sugli uomini. Se vuoi fuggire da Livorno, io posso fornirti finché posso, ma non so se è il caso. Sarebbe per me una gioia. A ogni modo rispondimi. Da Venezia ho ricevuto gli insegnamenti più preziosi nella vita; da Venezia sembra di uscirmene adesso come accresciuto dopo un lavoro. Venezia, la testa di Medusa dagli infiniti serpenti azzurri occhio glauco immenso in cui l'anima si perde e si esalta tra le infini...