Cinquant'anni fa il grande pittore italiano moriva nella capitale francese (L'Unità, 25 gennaio 1970 - di Augusto Pancaldi)
Cinquant'anni fa, il 24 gennaio 1920, Amedeo Modigliani moriva all'ospedale della Carità di Parigi. Trentasei ore prima, sulla barella che lo portava alla Carità, Modigliani aveva balbettato a Ortiz de Zarate: «Ho baciato mia moglie. Siamo d'accordo per una gioia eterna. Il buon Ortiz non aveva capito subito il senso della frase. Ma all'alba del 25 [recte: 26] Jeanne Hébuterne si dava la morte gettandosi dal quinto piano del sordido «meublé» dove aveva vissuto con «Dedo» gli ultimi mesi della sua atroce agonia.
Modigliani era morto e nasceva la leggenda. La leggenda alimentata dal suicidio di Jeanne, dalla gloria arrivata improvvisa il giorno stesso dei funerali quando, accanto alla folla di amici che lo accompagnavano nel lungo viaggio al cimitero del Pére Lachaise fecero improvvisa comparsa i mercanti. A Zborowski, l'amico di sempre, in lacrime alla testa del corteo funebre, qualcuno offrì 400 mila franchi per le cinquanta tele in suo possesso, le stesse che poche ore prima valevano poche centinaia di franchi l'una. Ma già alla vigilia, allorché a Montparnasse s'era sparsa la notizia della fine imminente, gli stessi che avevano rifiutato a Modigliani un biglietto da cento per uno dei suoi ritratti, correvano di galleria in galleria per rastrellare a buon prezzo tele e disegni che cinque anni dopo avrebbero rivenduto a cifre favolose. Fu la sua vita disperata, conclusasi a 36 anni nella miseria, fu questa gloria giunta assieme ai becchini, fu il suo carattere irascibile e dolce, fu il suo candido esibizionismo che dava sui nervi a Picasso, o furono tutte queste cose assieme a creare la leggenda che si è inestricabilmente vigilata alla storia di Modigliani?
«Nel caso di Modigliani - ha scritto Jean Paul Crespelle - è curioso constatare fino a che punto i testimoni stessi della sua avventura, i più legati alla sua vita e ai suoi amori, furono anche i più accaniti ad abbellire la verità, a deformare e inventare puramente e semplicemente, al punto che nella saga di Modigliani il vero e il falso sono così intimamente legati che occorre una pazienza di restauratore di porcellane per riuscire a ricostruire un fatto autentico, a ritrovare un dato incontestabile. Jean Paul Crespelle ha pubblicato proprio in questi giorni un libro «Modigliani, le donne, gli amici, l'opera» (Edizioni Presse de la Cité - pagine 309, 15 franchi) in cui tenta questo difficile lavoro di restauratore di porcellane per cogliere l'uomo al di fuori del suo mito, nei suoi slanci e nelle sue cadute, nella sua giusta e vera dimensione umana, avvertendo però che «la leggenda non deve essere ignorata» perché in essa, a volte, «si nasconde l'essenziale, cioè lo spirito, il carattere generale dell'avventura». L'avventura di Modigliani comincia e finisce a Parigi, dal 1906 al 1920, e si sviluppa interamente tra Montmartre e Montparnasse, tra le casupole, le trattorie e gli alberghi dei poveri che avevano attirato sulla «fatale collina» del Sacro Cuore centinaia di artisti o sedicenti artisti, e i caffè e i ristoranti del nuovo Olimpo della riva sinistra. Blaise Cendrars afferma che, al suo arrivo, Modigliani era ricco avendo riscosso l'eredità paterna: «Era un giovane italiano elegante, vestito di una giacca fatta su misura, attillata, le maniche un po' corte come sanno fare i sarti italiani per mettere in evidenza i polsini della camicia. Ho te aggroconosciuto Modigliani ricco, anzi ricchissimo». Eppure niente è più falso di questo brillante attacco. Modigliani arriva a Parigi quando' suo padre è già economicamente rovinato e ancora in vita, quindi doppiamente impossibilitato a lasciargli l'eredità di cui parla Blaise Cendrars. André Salmon, recentemente scomparso, ha raccontato che ai funerali di Modigliani, tra la folla di amici in lacrime, c'era il fratello Emanuele vestito di nero, appena arrivato da Roma. Ma il fratello Emanuele, impossibilitato a venire a Parigi, aveva telegrafato a Kisling «seppellitelo come un principe» e Kisling aveva fatto una colletta nei bar di Montparnasse e aveva riservato all'amico funerali principeschi. Emanuele era arrivato soltanto un mese dopo per inginocchiarsi sulla tomba del fratello Amedeo. Tra queste due invenzioni, una dell'arrivo e una dell'ultima partenza di Modigliani, tra questi due racconti inventati fatti da persone che tuttavia erano state tra le, più vicine al pittore livornese, si collocano tutte le avventure più o meno vere della vita terrena di Amedeo Modigliani. Modigliani col suo vestito di velluto, un foulard di seta al collo e il volto bellissimo, e Modigliani lacero, il volto disfatto dagli stupefacenti; Modigliani che recita Dante agitando «le belle mani sensibili» secondo la descrizione lasciataci da Vlaminck e Modigliani ubriaco che insulta gli avventori dei bar, che molesta le donne per la strada, che si fa «beccare» dai poliziotti e trascinare in guardina; Modigliani generoso e modesto, quasi timio, e Modigliani esibizionista che si sdraia sulle rotaie del tram per darsi la morte e si solleva soltanto quando gli amici gli dicono che è un grande artista; Modigliani tenero innamorato con una rosa in mano e Modigliani che si agira nudo nel giardino della poetessa inglese Beatrice Hastings e che spacca i vetri della casa perché la donna vi si è rifugiata con Max Jacob per difendersi dalle violenze dell'italiano. Chi riuscirà mai a districare la leggenda della storia anche se appena cinquant'anni sono passati dalla morte del pittore? La bibliografia del libro di Crespelle ci dice l'estensione di questa ricerca che ha avuto come punto di partenza l'opera di Jeanne, la figlia del pittore, e come sostegni non secondari la testimonianza degli amici ancora viventi o viventi al momento dell'inchiesta e scomparsi prima della pubblicazione del libro: Roger Wild, Marc Chagall, Fernande Barrey (la belle Fernande di Picasso), Lunia Czechowska, Francis Carco, Kisling, Foujta, Fournier, Zadkin e altri ancora. Jean Paul Crespelle ricostruisce pazientemente una serie di fatti fino a trovarne l'autenticità, ne demolisce altri, falsi fino alla radice, e riesce umanamente a dirci che Modigliani, malato di polmoni fin dalla giovinezza, quindi meno resistente di tanti suoi compagni d'avventura, di carattere debole e difficile al tempo stesso, incapace di adattarsi ai compromessi, fu questo e quello, tenero e violento, allegro e disperato, signore al massimo grado e bohemien fino alla completa decadenza: un uomo che, come molti caratteri insoddisfatti e di faticoso adattamento, cercava nel sogno scampo di evasione. Ma quel che conta di lui è l'opera che ci ha lasciato e il senso della sua vita da lui stesso chiusa in questi versi scritti dietro ad un ritratto di Lunia Czechowska: la vita è un dono dai pochi ai molti da coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e non hanno. Al Père Lachaise i poliziotti che tante volte lo avevano portato, ubriaco, in prigione, resero gli onori militari alla salma portando la mano alla visiera del chepì; e Picasso, chinatosi all'orecchio di Francis Carco, mormorò: «Vedi, è vendicato». Verità o leggenda? Verità o leggenda il fatto che Modigliani morente mormorò: «Cara, cara Italia»? Che importa. Al cimitero del Père Lachaise giace sotto una lapide di marmo, accanto alla sua Jeanne Hebuterne. Due scritte vi sono incise:
AMEDEO MODIGLIANI Nato a Livorno il 12-7-1884 Morto a Parigi il 24-1-1920 Morte lo colse quando giunse alla gloria JEANNE HEBUTERNE Nata a Parigi il 6-4-1898 Morta a Parigi il 25-1-1920 [recte: 26 gennaio] Di Amedeo Modigliani compagna devota fino all'estremo sacrificio.
La leggenda, prima o poi, si disperderà nel tempo. Ma le opere resteranno.
Augusto Pancaldi