LÉOPOLD SURVAGE (1879-1968)

Ricordi su Modigliani, di Léopold Survage


La leggenda creatasi intorno a Modigliani l'avvolge ormai in una rete di fatti non sempre veritieri e talora male interpretati. Altri risultano più veri, come quelli che hanno provocato gli epiteti di "Bohème" e di "Montparno", usati in opposizione alla vita di una classe di parigini che appartengono a quel che comunemente si definisce "les honnétes bourgeois", dalla vita regolare e monotona imposta loro dal lavoro, dal loro carattere e dalla preoccupazione di godere una buona reputazione nel loro quartiere. Il giovanotto era povero. Arrivando dall'Italia, suo unico bagaglio era l'eredità spirituale della sua famiglia, di origine israelita, con la purezza e l'idealismo che soltanto tale razza è capace di sviluppare, quando lo fa. Aveva ereditato la sua nobiltà d'animo dalla madre. Me ne mostrò la foto che portava con sé con un amore e un'ammirazione commoventi: un bel volto intelligente e fine e un portamento aristocratico. Aveva di che essere orgoglioso... Il tratto più notevole che lo caratterizzava e che non lo abbandonò mai, anche nelle situazioni più difficili e più penose della sua vita, era, appunto, la sua nobiltà d'animo.

Eugenia Garsin

Tutto il suo comportamento, gesti e parole, era quello di un aristocratico di gran razza, senza orgoglio e pieno di semplicità e di spirito. Il salto brusco: l'aver lasciato Livorno abbandonando la famiglia che lo proteggeva dalle durezze della vita, fu il grande choc iniziale della sua esistenza. Questo giovane, ardente e pieno d'idealismo, si sarebbe adattato alle esigenze implacabili di Parigi? Egli offriva alla città i suoi doni, la sua impetuosità, ma questa come lo avrebbe accolto? A quell'epoca, comparvero a Parigi molti giovani artisti, provenienti da ogni parte, attratti dalla fama artistica della capitale. Esseri ardenti e coraggiosi che avevano lasciato la famiglia per seguire un ideale, per esercitare un'arte tra le più illusorie, ed anche la più incerta e, al tempo stesso, la più ricca. Nei loro paesi, nelle rispettive famiglie, essi non conoscevano la povertà. Si lasciavano alle spalle una vita tranquilla, un'esistenza grigia senza preoccupazioni e senza l'angoscia del domani. A Parigi, il contrasto tra la ricchezza e la povertà, l'opulenza e la miseria, era violento. Spaesati, si trovavano automaticamente nel fondo del crogiuolo, tra i più poveri, senza un vero contatto con la popolazione, come stranieri. Eccoli trasformati in meteci senza denaro, con aspirazioni elevate, con temperamenti eccezionali, con molta intelligenza e, talora, di genio. Si eran formati due gruppi: uno a Montmartre, l'altro a Montparnasse. Modigliani apparteneva a quest'ultimo.
Erano specie di "commando" sbarcati a Parigi. Prima di loro, c'erano stati diversi altri "commando" di artisti, tra gli altri il gruppo degli Impressionisti, che già si opponeva alla routine e alla mediocrità. È nota la lotta terribile che un Gauguin, un Cézanne, un Pissarro e un Van Gogh dovettero sostenere. La storia si ripeteva ancora una volta su terreno già dissodato ma non per questo meno difficile, poiché il contributo di questi giovani pittori era ancor più difficile da accettare, più disparate le tendenze e in opposizione le une alle altre, più originali e più personali, persino contraddittorie in apparenza, benché tutte giustificate. Comune punto di partenza era un'educazione classica ricevuta nelle scuole del loro paesi. Modigliani in Italia dipingeva, ma a Parigi fu anzitutto attratto dalla scultura. A Montparnasse, incontrava Brancusi. La diversità di carattere e le loro nature così opposte, sono l'esempio delle svariate tendenze che animavano questa generazione. Modigliani aveva scolpito dieci o dodici teste esposte nel 1911, credo, al Salon d'Automne. Erano tutte sviluppate in altezza e con i colli smisuratamente allungati, finivano col somigliare a colonne. Brancusi, ripiegato su se stesso, tendeva alle forme rotonde e la testa che aveva scolpito finiva col rappresentare un uovo posato su un piano orizzontale. A quest'epoca, Modigliani abitava al 216 del boulevard Raspail, una casetta in fondo a un giardino. Quando andavo a trovarlo, si era cominciato a demolire il fabbricato e mancava una parete al locale che egli occupava. La rimpiazzava con una stoffa che faceva da tenda e il suo studio — poiché è lì che lavorava e dormiva per terra — era pieno di blocchi di pietra, di schegge e delle sue famose teste di forma tanto bella, i contorni e la struttura delle quali servirono come punto di partenza alla sua pittura. Malgrado questa povertà, era pieno di entusiasmo e di attività. Siccome viveva sulla riserva di forza e di energia che aveva portato dall'Italia, non gli era ancora necessario ricorrere all'alcool. Più tardi, la sottoalimentazione continua provocata dalla mancanza di denaro lo portava a sostituire il nutrimento insufficiente con un bicchier di vino o un fondo di caffè da due soldi. Questo gli permetteva di sentirsi in forma e di lavorare. Come l'operaio parigino che s'incontrava nei bistrots e che si trovava nelle stesse condizioni: mal pagato, mal nutrito, cercava un compenso nell'alcool. Ormai non poteva più liberarsi dall'abitudine deleteria che aveva contratto, ma la forza del suo slancio spirituale era tale che la sua arte non ne soffriva. Al contrario, l'eccitazione dell'individuo conferiva una singolare acutezza all'espressione di ciò che creava. Presto si mise a dipingere.

Psicologo nato, perspicace e sottile, aveva ormai trovato la sua vera strada. Decifrava il carattere delle persone che avvicinava con grande esattezza e rapidità. Questo dono di psicologo era talmente profondo che si può dire che erano i modelli che somigliavano ai ritratti e non viceversa, siccome sottolineava ed esagerava le caratteristiche principali, mettendole in evidenza quando, in colui che posava, erano nascoste dalla sovrapposizione dei tratti secondari e accessori.

Ritratto di Léopold Survage, Amedeo Modigliani, 1917

Questi ritratti andavano ben oltre l'acutezza caricaturale e con la loro verità raggiungevano un alto livello stilistico. Qualche volta diceva: "Ho trovato dei mezzi che mi permettono di esprimermi". Diceva anche: "Quello che ho davanti agli occhi è un'esplosione che mi sforzo di dominare e di organizzare". Erano la geometria, la proporzione e il ritmo che gli permettevano di raggiungere i suoi scopi. Lavorava rapidamente, poiché il suo lavoro era preceduto da un'approfondita riflessione. Il suo istinto di psicologo lo induceva a fare anzitutto un'inchiesta sotto forma di conversazione sul carattere del suo modello, la qual cosa richiedeva un tempo più o meno lungo. Ma una volta presa la decisione, concepito il suo ritratto, lavorava di getto. Un giorno mi disse che un amatore, commissionato il proprio ritratto e datogli un anticipo, lo assillava perché cominciasse il lavoro. "Il suo ritratto è già fatto, non gli resta che staccarlo", diceva toccandosi la fronte col dito. Di solito cominciava col tracciare, con un pennello sottilissimo, un disegno simile ai suoi ben noti disegni a matita, talvolta dolci e teneri, violenti o duri, a seconda del carattere del modello e il suo umore personale. Alle parti ben studiate e meditate, si univa una gran dose di improvvisazione. Partendo da un reticolo di linee principali e di angolazioni concepite sin dall'inizio, che esprimeva il modello e che si stendeva, invadendoli, sugli oggetti circostanti: sedie, tavoli, spigoli di un muro o riquadri di porte e finestre, spargeva, in un ritmo e uno stile severo e geometrico, un flusso di particolari caratteristici di grande delicatezza e di grande forza. Amava talmente sondare l'insondabile che non si è stancato di fare diciassette e persino diciannove ritratti della stessa persona in tempi molto ravvicinati. Questo lavoro richiedeva una grande tensione nervosa, un flusso ininterrotto di trasposizioni momentanee sul piano psicologico, espresse con un procedimento spinto all'estremo della geometrizzazione delle forme. L'ho visto talora fermarsi come un corridore senza fiato: era questo il momento in cui gli ci voleva una frustata. Il rimedio era a portata di mano, un bicchiere di vino rosso o un bicchierino di grappa, dopo di che riprendeva immediatamente il lavoro. In capo a qualche ora di un regime del genere, si sentiva spossato e incapace di continuare; tuttavia, nella maggior parte dei casi, il ritratto era portato a termine. La sua più grande preoccupazione era di procurarsi i modelli, il che era molto difficile perché la gente a cui chiedeva di posare non lo faceva volentieri: le donne con la scusa di non essere abbastanza belle e gli uomini di non aver tempo. Ma una volta fissato l'appuntamento, eccolo ad aspettare, la mattina presto, inquieto. Qualche volta usciva in strada per spiarne l'arrivo. Succedeva anche che il modello non arrivasse e allora la delusione era grande. La sua angoscia di restar privo di modelli era costante e spesso lamentava la difficoltà di trovarli. Gli accadeva anche di avvicinare gente per strada o nei caffè proponendo loro di posare, ma senza successo.
Non puliva mai la tavolozza che diventava di uno spessore e di un peso enormi. Finito il lavoro, cantava canti e melopee ebraiche, piene di tristezza e di nostalgia. A sera, usciva con un amico e discutevano di musica, di pittura o di letteratura camminando lentamente. D'altronde a lui non piaceva camminare e si fermava spesso per sviluppare i suoi discorsi elaborati e ben composti, come la sua pittura. Nel 1917-1918, anch'egli si trovava a Nizza come me. Si era sistemato in casa mia per lavorare poiché gli albergatori non lo tenevano più di qualche giorno in albergo: la sera, quando ritornava, faceva molto rumore e cantava disturbando così gli altri ospiti. Molto superstizioso, da vero italiano, attribuiva grande importanza alle coincidenze e ai presagi. E italiano si mostrava anche declamando Dante a memoria; caratteristiche che finivano con l'influenzare la sua pittura. Ma era l'essere umano che l'interessava soprattutto e le forze invisibili che si manifestavano attraverso e intorno ad esso. Dietro l'aspetto fisico egli immaginava tutto un mondo misterioso. Una sera, incontrammo per strada un ubriaco che durava gran fatica a camminare e che faceva contorsioni ed equilibrismi inauditi senza mai cascare. "Vedi, diceva Modigliani, gli spiriti maligni lo attraggono, ma egli resiste loro e lotta". Un giorno mi mostrò la sua mano, un po' grande e grassoccia ma di bella forma, dicendo ch'era nato sotto il segno dello scorpione e che tendeva all'autodistruzione. Tale tendenza all'introspezione da una parte, la preponderanza e l'interesse che attribuiva all'essere umano dall'altra, spiegano perché nella sua opera s'incontrano soltanto il ritratto e talvolta il nudo.

Ha eseguito due paesaggi dietro mio consiglio, ma controvoglia, concludendo: "Nel paesaggio non c'é niente da esprimere". Il suo passaggio tra noi fu breve, ma la traccia che ha lasciato è profonda e incancellabile. Accettava senza lotta e senza sofferenza la sua povertà leggendaria poiché non attribuiva importanza ai beni terreni che definiva catene.

Léopold Survage


Paesaggio a Cagnes - Amedeo Modigliani 1919
Amedeo Modigliani, Paesaggio nel Midi (1919)