Renato Natali (1883 – 1979) intervistato da Giuseppe Ranucci - Il Tirreno 25/01/1979
LIVORNO. Piazza Lavagna, al numero 17. In una vecchia palazzina d'inizio secolo, che si alza un po' stonata fra le più recenti costruzioni,al secondo piano, vive molto modestamente, al limite della povertà, uno dei più grandi pittori livornesi ancora viventi: Renato Natali, anni 96. Siamo andati a trovarlo per parlare di lui di Amedeo Modigliani, che egli ha conosciuto molto bene e di cui è stato per lungo tempo amico. La casa in cui entriamo, e dove Natali ha vissuto quasi tutta la sua vita, è molto modesta e si respira negli oggetti e nelle cose che ci circondano un'aria di tempo passato: una vecchia stufa, una cucina passata da tempo di moda, mobili consunti ed un po' malandati. Saltiamo ancora più indietro nel tempo, entrando nella stanza piena di disordine del pittore Natali: un antico cassettone con lo specchio macchiato, un cavalletto su cui si trova una tela con un disegno appena abbozzato, la sua famosa tavolozza a dodici colori, e poi scatole, valigie e pacchi, che parlano di viaggi, di Parigi, di Venezia e di una vita piena ed intensa. Lui è seduto lì, su un lettuccio gettato in un angolo rinseccolito e raggrinzito dal tempo. Di statura non alta, gli anni numerosi lo hanno ancora di più rattrappito ed una noiosa paralisi gli impedisce oramai di camminare liberamente. Ma sul tempo e sugli anni, egli si è preso una grossa rivincita, perché la sua mente è lucidissima, gli occhi sono rimasti vivi ed intelligenti, e la sua voce è ferma e decisa anche se a volte un po' strascicante. Un paio di guanti verde bottiglia gli fasciano le mani da cui nacquero le famose «Baruffe» e le preziose ed affascinanti «Mascherate», e sulla testa porta un basco stranissimo fra il grigio ed il verde, ma di una tonalità indefinibile, come fosse uscito dalla sua miracolosa tavolozza. Quando torna al suo passato, naturalmente si anima, si emoziona, si agita continuamente, si solleva con forza dal suo letto, e diventa una fonte inesauribile di ricordi, di aneddoti, di notizie preziose, di precisazioni interessanti, di giudizi e battute pungenti. Come quando ci parla con commozione di Amedeo Modigliani, del suo caro amico Dedo..
- Lei sa, Maestro, che il 24 gennaio del 1920 moriva a Parigi Amedeo Modigliani. La sua vita così breve eppure così intensa e così infelice presenta ancora sotto certi aspetti dei risvolti misteriosi per la complessa personalità di Amedeo. Lei che lo ha conosciuto e che ne è stato amico può ricordarci qualcosa di lui e del suo carattere?
NATALI - Qualcosa?... Non so da dove cominciare... Ho tanti ricordi di lui. L'ho conosciuto da bambino, perché noi eravamo quasi tutti coetanei; lui aveva un anno meno di me. Come uomo era bello, bel ragazzo veramente, e naturalmente tutte le donne si innamoravano di lui: aveva uno spirito critico pungente, polemico e contestatore, metteva sempre in tutto una punta di pepe, invece che di sale, perché era rimasto sempre uno «spiritaccio» livornese. A Livorno, quando qualche volta tornava da Parigi, veniva al Caffè Bardi che si trovava in Piazza Cavour e chiedeva subito di me e di Romiti e poi ordinava subito un «pernolds» o assenzio. Ma il suo più grande amico, un amico veramente fraterno era Oscar Ghiglia con cui spesso si confidava
attraverso delle belle lettere ed in cui Dedo (lo chiamavamo così) esprimeva le sue idee sull'arte e sulla pittura.
- Ha conosciuto la sua famiglia, i suoi genitori?
NATALI - E come! Dedo aveva una mamma che lo adorava, che ha sempre sofferto per lui e per le sue malattie e che non l'ha mai abbandonato; gli mandava continuamente soldi a Parigi che lui s'affrettava a spendere insieme agli amici in assenzio e colori. La sua famiglia era di origine ebraica ed era molto ricca e conosciuta a Livorno: suo padre Flaminio fu il fondatore del Partito Monarchico nella nostra città mentre il fratello Emanuele che era molto buono ed intelligente diventò un deputato socialista. Abitavano tutti in una bellissima casa piena di libri, di quadri e di preziosi tappeti in via Roma, che prima si chiamava via delle Ville [sic] perché c'erano tutt'intorno delle ville stupende, dove spesso s'andava a dipingere.
- Modigliani da giovanissimo frequentò intensamente lo studio del pittore Micheli?
NATALI - No, no. Solo qualche volta, poi non ci volle più andare. E questo vale anche per me; perché in noi c'ra già una sorta di reazione ai maestri convenzionali e alle scuole; avevamo soprattutto un grande desiderio di vedere ì, di guardare le grandi opere degli artisti passati e di cercare di esprimere sulla tela il nostro istinto. Con tutto ciò Micheli fu un bel'artista e ci dette tanti utili consigli e ammaestramenti: fu un seguace di Fattori e non un imitatore senza animo e senza istinto, come tanti pittori livornesi che fanno come le pecore: l'una imita l'altra e tutti dietro senza originalità. E questo è avvenuto per tanti pittori cosiddetti «macchiaioli», a cui basta fare delle patacche per dire che fanno della pittura macchiaiola. Ci vuole ben altro ci vuole soprattutto, come diceva Fattori, il senso dello spazio e la conoscenza dei pittori toscani del Trecento / Quattrocento. Il male è che la parola «macchiaiolo» è diventata come una marca molto conosciuta che serve a far vendere e fare alzare i prezzi anche se poi i prodotti sono dei «troiai». Anche a me a volte è successo, che se scrivevo dietro al quadro «alla maniera macchiaiola» mi davano subito qualche milione in più.
- Mi permette, Maestro, una domanda un po' cattiva? Si dice che lei abbia firmato quadri in realtà fatti dai suoi allievi. E' vero o è solo una calunnia?
NATALI - Nella mia vastissima produzione ci sono quadri che valgono decine di milioni e che si trovano nei più grossi musei e collezioni del mondo e quadri che valgono meno: ci sono a giro tante tele a me attribuite e che sono dei «falsi», ma io, le posso assicurare che non mi sono mai prestato per denaro a firmare col mio nome, quadri non miei. [sic] L'altro giorno è venuto a trovarmi un nipote di Modigliani e mi ha fatto vedere un dipinto che ha portato dall'America: «i Soffiatori di vetro». Io appena l'ho visto ho detto subito: «non è mio; questo quadro è un falso». Io ho dipinto i «Soffiatori di vetro», ma questo non è mio.
- Torniamo a Modigliani. Oltre che a Livorno, lei lo ha frequentato per oltre due anni a Parigi. Come trascorreva la sua vita laggiù, nel paradiso degli artisti e della 'boheme'?
NATALI - Dedo era andato a Parigi nel 1906 a soli 22 anni; io lo raggiunsi 7 anni dopo e ci rimasi due anni e mezzo. A quei tempi andare a Parigi era un po' di moda, ma soprattutto ci si andava perché in quegli anni Montmatre, Montparnasse, gli Champs-Elysée erano il centro dell'arte e di tutte le più nuove esperienze artistiche. A Parigi si respirava una atmosfera d'arte che a Livorno, Firenze, ed altre città italiane non era possibile trovare. Dedo abitava a Montmatre e in quel quartiere vivevano anche Picasso, Utrillo, Brancusi e tanti altri. Ci si trovava speso al Caffè di Montmatre per discutere e parlare di quadri e di pittura e soprattutto per bere, bere ed ancora bere, assenzio e caffè; con Dedo andavo molto d'accordo e tante notti le abbiamo passate in bianco, girando per le vie di Parigi, e cercando di rubarle i colori, gli umori e tutte le sensazioni. A volte ci sembrava di essere a Livorno e girare per la «Venezia», ma con tutto il coganc e l'assenzio parigino in corpo.
- Modigliani beveva molto? Si drogava?
NATALI - Beveva moltissimo, ma non credo che si drogasse, o se lo faceva, lo faceva come tutti gli altri pittori. Anche quella era una specie di moda: Picasso, Max Jacob, si drogavano. La droga serviva per dipingere i una situazione di completa euforia e per moltiplicare e potenziare la personalità. E' certo però che soprattutto ad una certa ora della notte, era difficile non incontrare Amedeo ubriaco, e molto spesso finiva la sua giornata in guardina insieme al suo amico Utrillo che era ancora più pazzo di lui. Io invece per evitare la fine di Modì e di Utrillo preferivo ad una certa ora, anche perché abitavo lontano prendere il metrò e rientrare a casa, non proprio lucidissimo, ma almeno non completamente ubriaco. Ma quando era lucido, Dedo mostrava la sua profonda cultura e preparazione e per questo si distingueva facilmente da tanti presuntuosi artisti analfabeti che venivano dall'Italia e si davano tante arie a Parigi. Era spesso polemico e contestatore ma sosteneva le sue tesi con elementi di giudizio molto quadrati e culturalmente fondati.
Non si stancava mai di andare a giro per musei e di assorbire con gli occhi le tele che più lo impressionavano. Di fronte ad un quadro che lo colpiva particolarmente, mi prendeva per un braccio e gridava: «sta zitto, Renato. Sta zitto! Un mi dì nulla!». Era particolarmente affezionato a Piero della Francesca e a Duccio di Buoninsegna ed aveva una vera venerazione per un quadro del Botticelli: «La calunnia». Modigliani era un uomo aperto, fiero, generoso, molto generoso: regalava disegni e quadri a tutti, a camerieri, ad amici (anche a me ne regalò alcuni) [sic] e alle donne. Gli piacevano moltissimo le donne; del resto non c'è nulla di male, agli uomini devono piacere le donne, anche a me piacciono moltissimo. Ma lui le amava anche perché vedeva in esse la perfezione estetica e la rotondità dei corpi. Gli piacevano alte e ben fatte e di esse ammirava (come si può anche notare dai suoi quadri) soprattutto le braccia, le gambe e le natiche. E poi con le donne andava sicuro perché era veramente bello. Un po' di tempo fa venne a trovarmi sua figlia Jeanne, che ora fa la maestra elementare a Tolone, e mi parlò molto male di suo padre, dicendo che era un alcolizzato ed un donnaiolo e che non si era mai curato troppo della famiglia. Ed io le dissi che aveva torto a giudicarlo così, che lei era la figlia di un artista grande e geniale, che era nato libero e con la storia addosso, forse ribelle ed estroso, ma anche tanto sfortunato. Negli ultimi tempi, ricordo che il povero Dedo conduceva una vita veramente miserevole: era diventato trasandato, sporco e trascurato nel vestire. Un giorno lo trovai che dormiva in fondo ad un giardino, avvolto in giornali e stracci come un «clochard» e vicino a lui aveva delle pietre su cui aveva cominciato ad abbozzare delle sculture.
- Cosa ne sa lei, Natali dell'episodio delle sculture che Modì gettò nei fossi, perché adirato e scoraggiato dal giudizio negativo degli amici?
NATALI - Le sue sculture ci sono in fondo ai fossi, ma non perché ce le ha buttate lui. Dedo le aveva appoggiate sulla spalletta del ponte e le faceva ammirare agli amici. Per farle vedere meglio, ed un po' anche per burla, un amico dispettoso le allontanava piano piano verso il vuoto, finché alla fine andarono tutte di sotto. Subito si dettero da fare per ripescarle e Dedo sbraitava più di tutti, ma non ci fu nulla da fare. [sic]
- Che giudizio dà alla sua opera?
NATALI - Ci sono molte cose diverse e di valore differente. Ad ogni modo il mio giudizio su di lui è positivissimo. E' stato un grande artista, in lui c'era qualcosa di nuovo. Purtroppo non è un pittore «finito», perché è morto troppo presto. E' solo principiato, povero Dedo. Ricordo che prima di morire venne a trovarmi qui in Piazza Lavagna e mi disse: «Andiamo Natali! Andiamo a mangià torta di ceci e acqua vite in via Grande, piena di calzerotti e di mutande». Poi non lo vidi più... [sic]