In nome dell'arte e degli artisti
Ho iniziato a frequentare la casa-museo Carlo Pepi nel 1991 e ne rimasi veramente colpito, mi domandavo e mi domando tutt'oggi: come è mai possibile raccogliere in una sola vita una collezione d'arte che annovera circa 20.000 opere? Sono certo che qualsiasi persona dotata di sensibilità artistica e apertura mentale, che ha visto la sua collezione durante gli abituali incontri che il critico d'arte organizza, si sarà chiesta la stessa domanda e sicuramente non avrà potuto fare a meno di rimanere affascinato da quest'uomo che ha dedicato gran parte della sua vita all'arte e che non manca mai occasione di mettere a disposizione il proprio sapere per promuoverla e per far conoscere la sua bellezza nelle più svariate sfaccettature.
Una parte consistente di questi dipinti provengono da artisti locali e nonostante Pepi vanti nella sua vasta collezione nomi di prestigio a livello mondiale come Goya, Kandinsky, Picasso, Harring, Warhol e naturalmente Modigliani di cui possiede due opere (ritratto a Sommati e Donna seduta, uno dei più grandi capolavori a matita dell'artista) l'ho visto sempre più interessato a mettere in evidenza le avanguardie livornesi piuttosto dei grandi nomi che al contrario qualsiasi altro collezionista andrebbe orgogliosamente sbandierando ai quattro venti.
Una volta compreso questo suo amore viscerale per l'arte, diventerà difficile meravigliarsi se per sua scelta non abbia mai commerciato in arte (per non tradire i suoi ideali ed anche per avere il giudizio sempre sereno, al di fuori dal mercato, rinunciando a favolosi guadagni...), ma al contrario conceda le sue opere gratuitamente in mostre affinché possano essere viste, comprese e apprezzate dal pubblico.
La riprova schiacciante di quanto sopra, è data dalla formidabile, impensabile collezione d'arte che egli ha da solo creato, collezionando con modici prezzi artisti divenuti poi famosi, scovando artisti poco noti ed addirittura completamente sconosciuti anticipando di molte decine di anni la critica e gli storici che arriveranno a scoprirli dopo che cinquanta anni prima lui aveva già collezionato tutto l'iter artistico. Per questi motivi ha probabilmente ragione quando sostiene di detenere il record mondiale della minor cifra spesa in rapporto al valore artistico collezionato. Egli ha lavorato quaranta anni ed ammettendo che abbia guadagnato una media di 70 milioni di Lire all'anno, (aggiornati all'ultimo anno in cui è andato in pensione), si ottiene una cifra di due miliardi ed ottocentomila lire. Ipotizzando che abbia impiegato tutti i suoi guadagni per acquistare quadri, è quella la cifra che un grosso collezionista ha impiegato per acquistare solo un'opera; lui con la stessa cifra ne ha acquistati 20.000 assieme ad una miriade incalcolabile di libri e di documentazione varia.
Colte queste premesse avrete inquadrato il personaggio e capito da dove nasce quella sua sensibilità e quel suo "occhio" che lo hanno reso famoso e ineguagliabile nel distinguere il vero dal falso. Molto spesso questa sua dote di "attribuzionista" si è trasformata in una vera e propria "dannazione" circostanza che accade ogni volta che, spinto da un'irrefrenabile voglia di giustizia e di verità, si è reso protagonista di solitarie battaglie (che di solito finiscono nelle aule dei tribunali) volte a smascherare i falsi e i falsari. Queste sue continue prese di posizione hanno fatto si da dipingerlo agli occhi di molti come personaggio "scomodo", di "intralcio", anche se poco importa a Pepi perché quei "molti" non fanno parte di quel mondo dell'arte pulito e trasparente al quale appartiene e intende appartenere.
Visto che conosco perfettamente tutto il carteggio dell'esperto di Crespina, ma sardo di origine (forse qui si spiega la sua tenacia!), vorrei far conoscere alle persone che non ne sono a conoscenza qual'é stato il ruolo determinante che egli ha assunto in materia di tutela del patrimonio artistico italiano attraverso alcune sue prese di posizione riguardo a opere attribuite a Modigliani, e non solo, tralasciando le vicende legate alle teste del 1984 e quelle salvate da Piero Carboni nel 1943, argomenti accuratamente trattati nel mio libro e brevemente accennati nelle pagine di questo sito.
Si inizia nel 1991, quando vennero alla luce 79 disegni "giovanili" attributi a Modigliani da parte di colui che al tempo veniva indicato come il maggior esperto dell'artista: Osvaldo Patani.
Queste erano alcune di queste opere attribuite a Modigliani ed esposte a Viterbo nel 1991: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 -7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18
Immediatamente all'inaugurazione della mostra, Pepi sostenne che di Modigliani non ce ne era neppure uno. I successivi risvolti gli dettero ragione: secondo i periti chimico-fisici la carta e l'inchiostro non potevano essere datati prima del 1925, ma Modigliani era morto nel 1920!
Riguardo a questo episodio è rilevante constatare che se i risultati scientifici avessero attestato che questo gruppo di disegni potevano essere stati realizzati durante il periodo giovanile di Modigliani, molto probabilmente sarebbero stati dichiarati autentici, nonostante la palese impossibilità di ravvedere in questi alcuna correlazione stilistica con le poche opere giovanili di cui siamo a conoscenza.
In questa circostanza il giudizio di Pepi venne sostenuto anche dagli Archivi Legali Modigliani dai quali il critico d'arte si era dimesso un anno prima.
A proposito di Patani, vi invito a leggere questo articolo datato 21 ottobre 1991, nella parte in cui egli parla delle teste autenticate da Carlo Pepi:
All'inizio ho pensato ad un errore di trascrizione da parte del giornalista, mentre leggevo le parole di Patani il quale dava per certo che Modigliani aveva lasciato "alcune sculture" a Livorno prima di partire per Parigi nel 1906. Non mi pareva possibile un errore colossale del genere da parte di un esperto che al tempo veniva indicato come il maggior conoscitore di Modigliani. I miei dubbi sono svaniti quando egli richiama il famoso quadro di Picasso Les demoiselles d'Avignon dipinto tra il 1906-07 quindi negli anni in cui Modigliani si trovava proprio a Parigi, opera nella quale appare evidente l'influsso dell'"arte negra" che andava in voga in quegli anni nella capitale francese, basti pensare al movimento fauvista di cui facevano parte André Derain, Henri Matisse e Maurice de Vlaminck, la cui prima collettiva al Salon d'Automne risale al 1905. Quindi non si può parlare di errore di trascrizione, bensì di grosso abbaglio del critico d'arte, giornalista e studioso del Novecento italiano. Inoltre Patani metteva anche in discussione il fatto che Modigliani avesse conosciuto Brancusi dopo il 1909, dunque non avrebbe potuto "subire" la sua influenza artistica.
Obiettivamente, nel 1991, non avevamo a disposizione dei riscontri concreti riguardo ai rapporti tra l'artista romeno e quello livornese come ventilato in alcuni testi, in particolare nel catalogo Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani dove, a mio avviso, sono state fatte delle forzature per avallare questa teoria (Amedeo Modigliani le pietre d'inciampo pp. 182, 183, 184).
Per avere la certezza dei rapporti tra i due si dovrà attendere infatti il 1993, quando nel catalogo della mostra veneziana curata da Noël Alexandre, figlio di Paul, grande amico e mecenate di Modigliani, spuntò una quietanza di affitto alla Citè Falguière risalente all'aprile 1909 che l'artista versava ad una certa signora Tèpaz.
Franceline Tèpaz aveva avuto nel 1906 il permesso di costruire quattro fabbricati composti da un piano terra ad uso di studi per artisti e un primo piano ad uso abitazioni. (Archives de Paris, Dossiers de permis de construire, 1880-1930).
Fu proprio Brancusi a condurre il giovane Modigliani in quel luogo destinato alla scultura e quindi, come giustamente deduce Federica Falchini nella sua presentazione Gli ingredienti di un romanzo e noi spettatori bendati: se nell'aprile del 1909 Modigliani aveva scolpito a Parigi, perché non dovrebbe aver scolpito anche a Livorno nei mesi successivi? Tirando le somme, questa osservazione di Patani non può essere ritenuta inesatta considerando l'anno a cui risale questa sua intervista, ma anche viste le pubblicazioni che avevamo allora a disposizione in nessuna delle quali, fatta eccezione in Modigliani senza leggenda di Jeanne Modigliani, veniva collocata l'attività scultorea di Modigliani antecedentemente al 1909 (vedi datazione sculture - ibidem pp. 186, 187, 188, 189).
Arriviamo al 1992, quando a Castel Sant'Elmo (Napoli) venne allestita una mostra dedicata a Jusepe de Ribera. Carlo Pepi intervenne alla fine dell'esposizione facendo togliere una consistente serie di opere erroneamente attribuite al grande artista; tra queste il quadro Ecce Homo appartenente alla collezione privata del più famoso storico del'arte italiano Federico Zeri.
Il 1993 segnò l'anno in cui affiorarono i riscontri storico-artistici che confermarono il racconto di Piero Carboni. A Venezia, infatti, nel settembre dello stesso anno vennero esposti oltre 400 disegni fino ad allora inediti provenienti dalla collezione del dr. Paul Alexandre e, ancor prima dell'inizio di questa esposizione, Pepi preannunciò che sarebbero comparsi i disegni preparatori delle sculture salvate dal carrozziere livornese nel 1943. Gli Archivi Legali Modigliani, Vladimir Nechtschein (ex marito di Jeanne Modigliani), lo storico dell'arte francese Gaston Diehl e Osvaldo Patani mostrarono dei dubbi sull'autenticità delle opere esposte. All'inaugurazione della mostra di Palazzo Grassi, Pepi individuò tre disegni che si adattavano perfettamente alle sculture sopracitate; straordinarie somiglianze convalidate anche dal critico d'arte, saggista e giornalista Tommaso Paloscia. Nella parte finale del suo articolo Paloscia metteva in dubbio, come Patani, che Modigliani avesse scolpito prima del 1910-11; sicuramente non aveva avuto il tempo di leggere il catalogo della mostra dove veniva riportata la già citata quietanza di affitto alla Cité Falguière, così come, dove e quando avvenne il primo incontro tra Modigliani e Brancusi, grazie a Paul Alexandre, al Delta. (Noël Alexandre: "Modigliani inconnu" pp. 9, 59, 60)
Inoltre questi gruppi di disegni non presentano alcuna datazione e sono stati catalogati in questo modo: "prima del 1913" e "dopo il 1913".
Nel luglio del 1996 venne allestita una mostra di Modigliani a Marina di Massa e esaminando il relativo catalogo Pepi ravvisò subito delle irregolarità: un inedito paesaggio e due sculture in bronzo. Forte del giudizio di Carlo Pepi, Giuseppe Saracino presentò una denuncia contro questa esposizione presso alla squadra mobile di Massa, allegando in essa tre perizie tecnico-artistiche di Carlo Pepi e altrettante perizie grafologiche redatte da tre diversi esperti del settore; non solo per sostenere la tesi di inautenticità delle opere incriminate, ma anche per indirizzare gli inquirenti verso la giusta strada per arrivare ad individuare la mano del falsario di Modigliani.
Il fatto che sia stato Pepi il primo a sostenere il problema di queste false sculture in bronzo pone, a quanto pare, un problema di competenze, visto che leggendo l'articolo sopra riportato così come negli altri precedenti, con il chiaro intento di screditarlo, veniva etichettato come "semplice appassionato d'arte", quindi poco attendibile. Tutto farebbe intendere che sarebbe stato del tutto diverso se egli fosse stato uno storico dell'arte, nonostante che nessuno di questa categoria, né la cosiddetta "critica specializzata" (i cui nomi li ritroviamo soventemente su importanti volumi dedicati all'artista Modigliani), siano intervenuti in questa occasione, o in altre, bensì intervengono sporadicamente per il proprio rendiconto a seconda del nome del proprietario dell'opera oppure del soggetto che l'ha autenticata.
A tal proposito va ricordato che ad oggi esistono dei disegni di legge e proposte legislative varie che promuovono un albo degli Storici dell'arte, ma ancora nessuna regolamentazione certa che assicuri un albo professionale, così come non esiste una deontologia professionale del critico d'arte. L'associazione A.Na.St.Ar. (Associazione Nazionale Storici dell'Arte) si propone dal 1999 di dare sostegno a queste figure professionali con l'obiettivo di incentivare e dare movimento all'iter legislativo. In questo stato di fatto chi si laurea in discipline storico artistiche, acquisisce il titolo di dottore in storia dell'arte e di conseguenza ha, in presenza di un vuoto legislativo che preveda un esame da sostenere, la qualità di storico dell'arte.
Detto questo, basta tornare indietro nel tempo fino al 1984 per rendersi conto che a questa qualifica non è certo preclusa la capacità di riconoscere l'autenticità o meno di un'opera d'arte, visto che in quella circostanza caddero in fallo i più grandi storici dell'arte italiani (Federico Zeri, onestamente, dichiarò di essere stato avvisato da una telefonata anonima - una voce femminile - che gli preannunciava il ritrovamento di due false sculture che i Fossi Reali avrebbero restituito), mentre gli unici che non sbagliarono attribuzione furono il giornalista Mario Spagnol e Carlo Pepi, il quale - ricordiamolo - avendo fatto parte degli Archivi Legali e avendo fondato e diretto la casa natale Modigliani, ha diritto e autorità di esprimere un suo giudizio sulle opere del grande artista forte anche della delega a lui rilasciata da parte della figlia di Modigliani prima della sua misteriosa morte. Da ricordare inoltre il fatto non trascurabile che Pepi risulta inscritto all'albo dei periti esperti d'arte del Tribunale di Pisa e, in quanto tale, viene incaricato dai Giudici per accertare la falsità o meno delle opere oggetto di controversie legali. I suoi interventi nelle vesti di perito d'arte, hanno portato alla chiusura di fondazioni di artisti, al sequestro di opere false e al dissequestro di opere autentiche. Un caso eclatante si presentò quando la Soprintendenza di Pisa fece sequestrare una serie considerevole di quadri attributi a Michele Gordigiani ritenendoli falsi e il proprietario venne denunciato andando così incontro a un processo penale. Incaricato dal Giudice, Pepi capì che invece erano autentici, non solo, dopo attente ricerche riuscì a trovare tra i suoi documenti una pubblicazione redatta dal Gordigiani stesso dove venivano riportati i quadri posti sotto sequestro. Pepi consegnò al Giudice la pubblicazione unita al suo parere di autenticità, salvando il povero malcapitato da una condanna certa e dalla distruzione delle sue opere come prevede la Legge per le opere false o contraffatte.
Già nel 1992, durante una conferenza tenutasi a Castiglioncello (Li) che aveva come tema la "moralizzazione dell'arte", Carlo Pepi sollevò il problema dei grandi abbagli rimediati dai più accreditati critici d'arte italiani. Pepi consigliò pubblicamente un rimedio all'allora Presidente del Senato Giovanni Spadolini, ossia l'attivazione di un corso di laurea specifico in Storia dell'Arte con specializzazione finalizzata alla formazione di esperti e critici competenti e di affidare all'NPA (Nucleo Patrimonio Artistico dei Carabinieri) un compito decisionale in materia di attribuzioni; entrambe le proposte, però, non vennero accolte.
A proposito delle riproduzioni in bronzo, come dice giustamente Pepi, Modigliani non le ha mai prodotte e il perché, semmai ci fosse il bisogno di dimostrarlo, ci viene tramandato da un importante testimonianza di Jacques Lipchitz. (vedi parti in grassetto)
Sempre nel 1996 un industriale aretino acquistò un disegno attestato come opera di Modigliani da un gallerista di Massa Carrara. Questo disegno, acquistato per quaranta milioni di Lire, era accompagnato da due certificati di autenticità redatti da personalità altisonanti, considerate massime autorità a livello decisionale sulle opere dell'artista livornese i quali, attraverso questi documenti, dichiaravano che l'opera in questione identificata col nome "Donna con cappello" era presente nel Pfannstiel, primo catalogo stampato nel 1929, a pag 47. L'imprenditore, non convinto del suo acquisto, si rivolse a Carlo Pepi che fu costretto a dargli l'infausta notizia che si trattava di un falso, dimostrando in seguito le proprie convinzioni davanti ad un Giudice del tribunale di Livorno. Da questo caso, che si andò ad aggiungere all'esposto di Saracino contro la mostra di Marina di Massa, si aprirà nel 1998 una vasta operazione della Guardia di Finanza che si estese anche in Svizzera e in Francia che ha portò al sequestro di 115 opere contraffatte tra cui 19 falsamente attribuite a Modigliani per un valore complessivo di otto miliardi di Lire e alla denuncia per associazione a delinquere per 16 persone (Amedeo Modigliani le pietre d'inciampo pp. 118, 119)
Grazie al contributo tecnico di Carlo Pepi si aprirono le indagini volte a smascherare il falsario di Modigliani.
Tra il 2010 e il 2011 si aprirono due mostre di Modigliani, la prima "Modigliani dal classicismo al cubismo" presso il museo archeologico di Palestrina (Roma), la seconda a Castello Ursino (CA) intitolata "Modigliani, ritratti dell'anima" dove venne presentato un inedito disegno "Ritratto di Agatae" attribuito a Modigliani che raffigurerebbe la santa patrona della città di Catania. Anche in questa occasione, ancora una volta da solo, Carlo Pepi alzò il suo dissenso contro questa attribuzione al grande artista livornese, così come su altre opere esposte tra cui, immancabilmente, delle banali riproduzioni in bronzo.
Nel 2012, dopo oltre due anni di indagini, una vasta operazione dei carabinieri del Reparto Operativo Tutela del Patrimonio Culturale coordinati dalla Procura della Repubblica di Roma, portò all'arresto del presidente degli Archivi Legali Christian Parisot e di un mercante d'arte entrambi destinatari di un'ordinanza cautelare agli arresti domiciliari per l'accusa di contraffazione di opere d'arte e ricettazione, al deferimento di altre sette persone in stato di libertà e al sequestro, tra Italia e Svizzera, di 59 opere falsamente attribuite a Modigliani: 41 disegni, 13 opere grafiche, quattro sculture in bronzo e un dipinto a olio. Tutti falsi certificati il cui valore complessivo, se ritenuti autentici Modì, sarebbe stato di 6 milioni e 650mila euro. Francamente l'arresto di Parisot mi lasciò indifferente: il duo Carboni-Saracino non fecero appello agli Archivi Legali, al contrario si rivolsero direttamente agli organi competenti dello Stato italiano come suggerito loro da Carlo Pepi. A mio avviso, come spesso avviene in Italia, si cercò il parafulmine di turno, vale a dire una persona sopra alla quale addossare ogni responsabilità, anche se gli eventuali errori difficilmente possono essere imputati soltanto ad un singolo, non quando stiamo parlando di un Istituto composto da un vasto equipe, tra cui un Comitato scientifico nel quale comparivano nomi roboanti della storia dell'arte. Come nel più classico stile italico, ogni collaboratore di Parisot prese da lui le distanze dopo la bufera che si abbatté sugli Archivi Legali, mentre l'unico ad averle prese in tempi non sospetti, fu Carlo Pepi dimessosi come si è detto nel 1990, e la ragione principale che lo spinse a lasciare anche l'incarico di direttore della casa natale Modigliani di via Roma, al tempo sede legale degli Archivi, fu la pubblicazione nel 1988 di un volume dove egli riconobbe un numero considerevole di opere non autentiche; tra cui una scultura in bronzo che fece la sua prima apparizione.
Nell'ottobre 2015 si inaugurò a Palazzo Blu di Pisa "Amedeo Modigliani et ses amis" una bella mostra dedicata all'artista livornese. Il giorno successivo all'inaugurazione, Carlo Pepi fece presente attraverso una mail alla Fondazione Palazzo Blu che nell'esposizione era presente un dipinto di Giovanni Fattori che era opportuno rimandarlo al mittente, visto si trattava di un assemblaggio di due dipinti autentici. Inoltre faceva presente che nel pannello riguardante Fattori vi erano riportate notizie non veritiere, relative ai suoi rapporti con l'arte francese degli impressionisti. Il dipinto con il pannello furono immediatamente tolti anche se ormai pubblicati nel catalogo.
Alla luce dei fatti esposti si evince facilmente che il prestigio, i titoli, le cariche dei singoli esperti o storici dell'arte risultano pressoché ininfluenti quando entriamo nel campo delle attribuzioni; si può pertanto giungere alla conclusione che riconoscere un'opera autentica da una falsa, è più altro un discorso di "occhio" e di "sensibilità", due doti che non si possono verificare in un esperto d'arte, a meno che non si inventi una formula matematica dove il grado di questa attitudine è data dal rapporto tra il numero delle sue prese di posizione e quello degli esiti di tali interventi. Il risultato sarebbe assai scontato: Pepi riscuoterebbe pienamente la leadership esclusiva di "attribuzionista" lasciandosi alle spalle un vuoto sconfinato di storici dell'arte e di critica specializzata. E se da una parte è lecito pensare che basarsi esclusivamente sull'"occhio" per scongiurare o attestare la falsità di un'opera non possa essere ritenuta una metodologia precisa (altrettanto fondamentale è rinvenire le origini dell'opera stessa), dall'altra parte dobbiamo sempre tenere a mente che la scienza spesso può essere bypassata da falsari specializzati.
Nel campo delle attribuzioni, Carlo Pepi ha dimostrato negli anni un'indiscussa competenza acclarata dai risultati delle sue battaglie, una conduzione decisa e sicura non rilevabile in nessun critico o storico dell'arte italiano di cui ho memoria. Una competenza dimostrata quotidianamente nei pareri che gratuitamente egli elargisce a quelli che da tutto il mondo lo cercano per avere un parere; il suo è stato sempre attendibile e si è rivelato in seguito sempre esatto e a farne le spese, talvolta, sono stati proprio i "grandi esperti" come ad esempio quelli che cercando di metterlo al bando, misero le mani sulla sua collezione, riuscendo a dimostrare l'assoluta inattendibilità di coloro che sono ritenuti i massimi esperti della materia.
Da quando mi sono affacciato in questo mondo nuovo per me, quello dell'arte e delle infinite vicende e querelles "modiglianesche", ho avuto modo di vedere con i miei occhi e di verificare dati alla mano, che Pepi risulta essere l'unico esperto di Modigliani che sistematicamente è intervenuto in ogni circostanza, isolato da un oscuro silenzio del resto della critica che dopo la "beffa del 1984", come giustamente ha scritto Nino Filastò nella prefazione del mio libro "solo a sentir parlare di Modigliani voltano la faccia da un'altra parte". Forse è anche meglio così, perché o uno si espone sempre, oppure è meglio che si faccia da parte lasciando "l'incombenza" all'unico esperto che fino ad ora non ha mai sbagliato, ma soprattutto che si è sempre espresso.
Maurizio Bellandi